SULLE TRACCE DELLA STORIA - 1944/1945

 MAI PIU’ GUERRE – MAI PIU’ OCCUPANTI – MAI PIU’ LIBERATORI – MAI PIU’ NAZISMO – MAI PIU’ FASCISMO – MAI PIU’ DITTATURE

“Sulle tracce della Storia” è una pubblicazione realizzata dall’Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità - Delta del Po dell’Emilia Romagna. 
Dalla pubblicazione ho estratto e organizzato in video le seguenti parti nel medesimo ordine e senza alcuna modifica al contenuto, allo scopo di contribuire alla diffusione, questo l’elenco con i relativi link: (In internet non si trova più l'originale)


PRESENTAZIONE DELLA PLAY LIST IN YOUTUBE:
Quanti ricordi della mia infanzia ha suscitato la pubblicazione di aprile 2015 “Sulle Tracce della Storia” -  Eventi bellici del 1943/1945 nel Delta”  del Parco del Delta dell’Emilia Romagna. Un libro, praticamente,  stampato  in 2000 copie e messo in rete in formato PDF. 
L’ho letto tutto d’un fiato e subito l’idea di mettere i testi e le foto in singoli video. Cosa che ho fatto a fine agosto, nella mia abitazione di Lido di Spina (da 30 anni residenza estiva ed oltre), rileggendo decine di volte i vari pezzi  per stabilire i tempi di ciascun video.  
Per me è stato come ritornare indietro di oltre 70 anni, ma con l’esperienza e le idee dei miei 80, da sempre convinto che sia giusto difendere l’idea dell’unità politica dell’Europa, quale strumento di garanzia affinché non ci siano mai più guerre, mai più invasori, mai più liberatori, mai più fascismo, mai più nazismo, mai più dittature. 
  

I miei ricordi e riflessioni

Non avevo compiuto 8 anni nell’aprile del 1943, ma ricordo alcuni episodi dei miei contatti con i soldati tedeschi, che vicino alla mia abitazione di Rovigo, sotto una grande tettoia aperta ai lati,  avevano allestito una officina meccanica. Un furgone è stata la mia prigione per brevissimo tempo, con un amico, per essere stati scoperti a fumare una sigaretta, trovata lungo la strada. L’episodio si è concluso con il regalo da parte dei militari – meccanici di un grosso Wurstel che ho diviso a metà con l’amico. Con l’altra metà abbiamo cenato più volte. E’ stato l’unico “fumo” della mia vita ed ancor oggi ricordo il forte giramento di testa mentre fumavo.
Le Battaglie aeree nel cielo le ho viste. Ricordo la prima volta, nel 1943 abitavamo in Via Verdi, di fronte alla carceri. Ci siamo subito trasferiti in zona San Bortolo, verso San Sisto, sulla riva dell’Adigetto; allora era campagna, ora invece è città, ultimo tratto del Corso del Popolo. Durante gli allarmi  ci si rifugiava in una stanza dell’abitazione del proprietario dell’immobile, rinforzata con grosse travi di legno.
 A  Rovigo è stata bombardata la Stazione. Boara Polesine fu oggetto di oltre centoquaranta bombardamenti aerei, che distrussero il ponte ferroviario (17 agosto 1944), il ponte sulla Statale 16 (20 aprile 1945), ma anche molte abitazioni civili, la parrocchiale, il comune ottocentesco e l'intera piazza del paese, facendo quattordici vittime civili.


Il Ponte sull’Adige a Boara Polesine, dopo il bombardamento del 1945

Polesella 11 novembre 1944 foto della ricognizione aerea alleata riprende i danni causati dal bombardamento
L’eccidio di Villamarzana
Riporto parte di quanto pubblicato nel sito di “Rovigo24ore.it” (http://www.rovigo24ore.it/news/rovigo/0016150-leccidio-villamarzana-non-dimenticare):
Tra la nebbia e l'afa dei campi polesani, la Resistenza germogliò con gruppi nati ad Adria, Badia Polesine, Castelmassa, Ceneselli, Ficarolo, Fiesso Umbertiano ed Occhiobello (solo per citarne alcuni), subito diventati una spina nel fianco dei nazifascisti che reagirono con rastrellamenti e rappresaglie.
L'ottobre del '44 fu un mese cruento per la provincia di Rovigo. Il 5 ottobre l'U.P.I. (Ufficio Politico Investigativo, la Gestapo dell'esercito repubblichino) di Rovigo provò ad infiltrare quattro spie all'interno del gruppo partigiano, comandato da “Loris” Giorgio dall’Aglio, per stanare e sopprimere lo stesso gruppo.
I partigiani scoprirono gli infiltrati ed il 6 ottobre e li giustiziarono nei pressi della cascina ‘Stongarde’ di Villamarzana, dove poi i quattro cadaveri furono sepolti.
La reazione dei nazifascisti non si fece attendere.
Nella notte tra il 13 ed il 14 ottobre a Bagnolo di Po, Fiesso Umbertiano, Fratta Polesine, Lendinara, Pincara, San Bellino, e Villamarzana gli uomini della 19a compagnia delle "Brigate Nere" compirono un rastrellamento catturando più di cento persone.
Dopo svariate ore di tortura alcuni prigionieri confessarono l'esecuzione dei quattro fascisti, avvenuta otto giorni prima. Undici persone morirono durante le torture cui furono sottoposte.
Quarantadue di questi “arrestati”, la mattina del 15 ottobre, vennero condannati a morte, trasferiti a Villamarzana e rinchiusi nella casetta del barbiere in attesa dell'esecuzione. Erano quarantadue per rispettare la legge della rappresaglia nazista dell'uno a dieci, visto che erano stati uccisi quattro fascisti.
Poco dopo le 16,00 si procedette con l'esecuzione di sette gruppi composti da sei prigionieri l'uno, che volta per volta venivano fucilati alla schiena da un plotone di esecuzione composto da ventotto italiani, davanti agli occhi della popolazione di Villamarzana che assisteva senza poter intervenire perché rinchiusa  La drammatica sequenza durò fino alle 17,30.
Nell'esecuzione del 15 ottobre furono uccise 41 persone, tra cui nove ragazzi tra i quindici ed i diciassette anni.
Solo una persona riuscì a scampare alla morte perché fu ferito durante la fucilazione ma non ucciso. Si risvegliò nella fossa comune assieme ai cadaveri delle persone cadute sotto il piombo dei moschetti italiani. Altre due persone verranno giustiziate successivamente.
Sul muro della casetta tra i fumi usciti dalle canne di fucili si legge la scritta “Primo Esempio”.
Villamarzana ha pagato col sangue dei suoi figli il prezzo per ottenere la medaglia d'argento al valor militare.
In ricordo dell'eccidio è stato costruito un Sacrario a memoria delle 43 vittime sul muro della casetta del barbiere, dove campeggia una lunga lapide con tutti i nomi dei caduti per mano fascista.
Il muro dove è avvenuta l'esecuzione è conservato all'interno del monumento, lasciato così com’era: sono ancora visibili i fori delle pallottole sparate dal plotone d’esecuzione.



E’ stato realizzato un film “La lunga marcia dei 54” dal giovane regista Alberto Gambato:  il link del trailer https://youtu.be/Opu6hqQZVMU

Nel Basso Polesine, da Adria ad Ariano, nel 1944-1945 a causa dei continui bombardamenti e dei tedeschi in ritirata, andarono distrutti ponti, stazioni, binari e convogli.

Porto Tolle, la guerra dei partigiani nelle valli, ricordata nel film Paisà di Roberto Rossellini.  Nell’inverno del 1944, oltre la linea Gotica, lungo il delta del Po, i partigiani insieme a reparti di paracadutisti americani. Nella dura battaglia combattuta fra le paludi del Polesine, non sono mancate le violente rappresaglie dei nazi-fascisti contro i partigiani, ed anche sui civili inermi.



A Lusia il bombardamento del 20 aprile 1945, cancellò 74 vite, compresi interi nuclei familiari, e con loro il vecchio centro del paese che comprendeva la chiesa e la villa Morosini, all'epoca sede del municipio. Una inutile strage compiuta dai bombardieri inglesi. 



 Bombe e distruzioni Lungo il Po e l’Adige, e dove c’erano ponti, spesso centrando gli abitati invece dei ponti. Ovunque, come avvenuto in Provincia di Ravenna e Ferrara (oggetto della pubblicazione), e come nel resto d’Italia.
Non ho mai accettato l’idea che per essere “liberati” fossero necessari tutti quei bombardamenti che hanno causato migliaia di vittime civili (600 solo ad Argenta, uno dei luoghi del Delta), ancor di più oggi a distanza di 70 anni, conoscendo maggiormente gli avvenimenti; si è trattato di inutili massacri di civili, non giustificati da alcuna esigenza militare, con i tedeschi che stavano fuggendo, o che si davano prigionieri o disertavano, di fronte all’imponente forza militare degli Alleati.  
A proposito di diserzioni, ricordo un episodio avvenuto nel cortile di casa mia. Nei giorni della liberazione un militare dell’esercito tedesco, un austriaco, ha dormito nel fienile aderente alla nostra abitazione, al quale si accedeva con una scala a pioli, al mattino ha appoggiato il braccio sinistro su uno scalino e con un gran colpo si è volontariamente rotto il braccio, al chiaro scopo di sottrarsi alla guerra.

Dal cielo piovevano bombe che uccidevano inermi civili, da terra la disperazione e la furia omicida dell’esercito tedesco in rotta e delle camicie nere fasciste assettate di vendetta è stata fonte di ogni sorta di nefandezza. Come il 25 aprile in Polesine: ventiuno ostaggi, rastrellati a Previere di Ceregnano, dopo la morte di un soldato tedesco (ma non è mai stata provata la correlazione tra gli eventi) vengono condotti nei pressi del cimitero di Villadose e fucilati a piccoli gruppi. Sono sepolti nel Cimitero di Ceregnano ed ogni anno vengono ricordati con un percorso in bicicletta da Previere a Villadose. Di questo episodio è stato realizzato un film documentario, “Presi a caso” dal regista rodigino Alberto Gambato.


Cimitero di Ceregnano, foto di Fabrizio Pivari in Flickr, pubblicate con il consenso dell'autore

Fascisti e nazisti nelle loro retate prendevano le persone civili innocenti, compresi bambini "a caso". Gli alleati lanciavano le bombe "a caso", le cannonate "a caso", come quelle sotto le quali siamo stati  io e tutta la mia famiglia la notte precedente il giorno dell'arrivo in città dei primi carri armati alleati.  Da giorni si sentivano colpi di cannone provenire da sud, i tedeschi avevano abbandonato da tempo l’officina vicino casa ed anche le Scuole vicine a San Bortolo e a Rovigo non c’erano più presidi tedeschi. Nel pomeriggio gli spari sono divenuti molto più rumorosi.  Non si capiva cosa succedeva, era quasi buio, si avvertiva un gran  pericolo. Il papà con i due fratelli piccoli a mano, la mamma con la sorellina di 3 anni in braccio, alcuni parenti, io “grande” da solo seguivo, diretti in un luogo più sicuro, il cimitero, attraverso i campi, dove cadevano le bombe "per caso", perché era proprio li che le sparavano, vicino al cimitero, dove ora c’è la Polizia Locale, una fabbrica, dove "pare" ci fosse un comando tedesco, abbandonato da giorni. Ci siamo fermati in una delle buche provocate dalle cannonate, confidando che dove ne era caduta una era improbabile che ne cadessero altre; poi siamo entrati in un “rifugio” scavato sotto la terra, un tunnel sotterraneo rinforzato con travi di legno; ma per me non c’era posto e sono rimasto accovacciato nella rampa di discesa, vicino l’entrata, ma non sufficientemente protetto in caso di mitragliamento. Quando è cessato il rumore delle cannonate ci siamo diretti verso il centro di Rovigo e siamo entrati nell’atrio di in un palazzo in via Viviani dove c’era un rifugio, ma pieno anche questo;  qui siamo rimasti nell'entrata fino al mattino. Il papà, alle prime ore dell’alba, è uscito. Ho saputo poi che a 200 metri da casa è stato fermato da persone armate (polizia fascista?) scambiato per un partigiano, ma poiché disarmato è stato rilasciato. Poi è venuto a riprenderci, la gente era uscita dal rifugio, eravamo rimasti solo noi. Finalmente a casa. 
Poco dopo i vicini si sono radunati all’interno della tettoia, l’ex officina tedesca ormai vuota, anche noi con loro. Qualcuno mi ha messo fra le mani una lunga “pertica” di salice, con un lenzuolo bianco a mo’ di bandiera; doveva servire per segnalare la presenza di civili. Dopo qualche tempo sono apparsi i carri armati  sulla Via Bruno Buozzi  (allora si chiamava in un altro modo), io in testa con  la bandiera bianca fra le mani, tutti gli altri dietro, ad incontrare i liberatori.
Pino Schiesari